Tu non hai uno spirito. Tu sei uno spirito. Tu hai un corpo.
(C.S.Lewis)
Ricordo come se fosse ieri quella mattinata d’agosto del 2001 quando, in una cittadina della Repubblica Ceca in mezzo ai boschi di abeti altissimi, feci la mia prima regressione.
“Sento ancora una lacrima scorrermi sulla guancia mentre davanti a me si chiude la porta di legno pregiato con la bara di mio padre. Il mio sguardo scende e fissa le mie stesse mani. Quelle mani che stringono in tanti, tutti ad esprimere la propria partecipazione, il loro supporto, la loro vicinanza.
Le mani.
Ancora le mie mani.
Sento stringere una corda. Mi trovo in una stanza di pietra di una prigione. Le mie mani sono mani maschili. Di un uomo magrissimo. Sono in fin di vita. Legato per le mani al muro e con una lancia conficcata nel fianco destro. Si! Esattamente là dove in questa vita ho una macchia bruna sin dalla nascita. Ora so perché. Le mani continuano a dolermi; sino a quando una luce immensa mi invade e mi trascina in una sensazione di sollievo e di soddisfazione. La soddisfazione viene dalla consapevolezza di aver vissuto una buona esistenza, guidato dalla filosofia di vita impartitami da quattro grandi maestri incontrati in tutta l’India. La soddisfazione di sentirmi amato da una folla immensa di persone che festeggiano la mia dipartita.
Con una sensazione di pienezza ritorno a fissare le mie mani.
Ora sento di muovermi velocemente nel mio laboratorio quando, ad un tratto, inciampo e le mie mani vanno a finire in una vasca con dell’acido. Un dolore lancinante invade tutto il mio corpo. E una tristezza infinita si insedia nel mio cuore. So perfettamente di aver subito un danno inguaribile. Per tutto il resto della mia vita viene un medico a spalmare degli unguenti e a fasciarmi le mani. Porto i guanti neri. Non posso fare più quello che mi piaceva tanto: abbandono il mio laboratorio e il pianoforte lo posso solo sentire, suonato dagli altri. So di essere benestante e mi posso permettere di ravvivare la mia vita con delle serate all’insegna della musica e dell’arte. Sono nel mio salone immenso pieno di dipinti ma le mie mani non possono più sfiorare quella bellezza. Un giorno va a fuoco la casa della famiglia dei miei domestici. Sopravvive solo un’orfanella. Me ne prendo cura. La inserisco tra la servitù, cosi può trovarsi in un ambiente protetto. Non la posso nemmeno consolare con una carezza. Le mani fanno così tanto male. Il mio viso si storce dal dolore quando le muovo.
Dall’inizio l’orfanella si comporta diversamente da altri domestici. Che bella la sua curiosità e la sua spontaneità. Sorrido nonostante tutto! Me la trovo sotto il pianoforte a sfogliare i miei libri. So quello che devo e posso fare per lei! Le insegno a leggere. Non a scrivere, perché non posso, ma a leggere sì. Mi fa piacere. La mia vita finisce presto a causa di continue infezioni. La ragazzina è diventata una giovane donna che ha letto molti libri della mia libreria. Mi assicuro che alla mia morte ci sia una buona occupazione per lei. Ora posso andare via in pace. La guardo mentre salgo sù! È così famigliare con lei la sensazione di complicità, di mutuo soccorso, quasi ovvia. Eh sì! È mia mamma nella mia vita attuale. Scende la seconda lacrimuccia, ma questa è … di gioia.
All’improvviso sento di sprofondare. Lo scenario cambia e io vengo catapultata su un prato grande in una natura rigogliosa, quasi tropicale. Le mie mani con dei movimenti rapidi e agili girano un coltello in mano a un soldato inglese e glielo stanno infilando nella pancia. Il soldato è evidentemente sorpreso tanto quanto gli altri attorno a noi. Avrebbe ammazzato me e messo in pericolo i miei allievi. Lo dovevo fare. Mi dispiace, ma dovevo difenderci. Mi legano le mani e mi portano in prigione. Ah è la stessa prigione di prima! Ora capisco. So dentro di me che mi avrebbero portato lì anche senza l’omicidio. Chiedo se sarebbe stato meglio? La risposta si formula dentro di me: la vita continua e tu impari a dargli il valore. Per ora non mi è chiaro. Capisco solo di aver ucciso. Ma non ho odiato. Ah ecco la differenza. Il mio cuore è libero.
Sprofondo ancora e so perfettamente di essere un giovane uomo nobile in un
casato signorile in Polonia. E’ l’anno 1643. Le mie mani stanno afferrando con una forza sovrumana le mani di una giovane donna. È in prigione e io la sto aiutando a scappare. La sto tirando fuori da lì. La forza maggiore mi viene dall’ innamoramento.Mi piace così tanto ed è con lei che voglio vivere. Lasciamo la reggia. Non ci tornerò mai più. Con i soldi che avevo portato con me troviamo una casa semplice e compriamo un po’ di terra per coltivare. Abbiamo tre figli. Sono felice. Non rivedo la mia famiglia di origine ma va bene così. La scelta mi ha reso felice e sono in pace. Le mie mani sono completamente rilassate e leggere. Tanto quanto lo sono io.”
P.s. Gli eventi traumatici sopra descritti sono stati abilmente elaborati dal terapeuta che mi aveva seguito e io sono uscita dalla trance leggera e completamente cosciente di tutto ciò.
Quest’esperienza ha aperto una strada inaspettata. Ho iniziato a studiare, approfondire e praticare la regressione abreactiva profonda e l’ipnosi regressiva fino a portare le tecniche regressive come la mia tesi di laurea magistrale in psicologia. Ho raccolto centinaia di esperienze, una più interessante dell’altra.
Sono passati quasi sedici anni dalla mia prima regressione e ne sono seguite
tantissime altre. Le mie mani sono libere di scrivere, di suonare, di accarezzare e soprattutto di accogliere quelli che arrivano con la sincera
voglia di aprire le proprie memorie e leggere nel libro della loro vita.
A ognuno il proprio libro!
Il miglior libro!